Enzo Raisi di Fli e Massimo Bugani del M5S alleati contro Paolo Bolognesi, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime del 2 agosto. Colpevole di essersi candidato alle primarie Pd per il parlamento, di essere in lista per le politiche e di non volersi dimettere dall'associazione. Le due cariche non sono ovviamente incompatibili, nel paese dei conflitti di interessi permanenti, nel parlamento dei doppi, tripli incarichi, non si capisce il senso della polemica di finiani e grillini. Bolognesi in caso di elezione continuerà la testimonianza e la battaglia per la verità sul 2 agosto, a modo suo, come ha sempre fatto. Anzi, se andrà a Roma, sarà proprio in virtù del riconoscimento degli elettori di questo suo impegno. Bolognesi ha fatto le primarie, non mi risulta che chi lo critica si sia sottoposto alla stessa procedura di selezione delle candidature. Dove starebbe il problema? Allora mi chiedo, chi si dovrebbe, nel caso, dimettere?
Chi si deve dimettere
Paracadute (democratico?)
Chapeau, Giancarlo Sangalli. E Gianluca Benamati. E Francesca Puglisi. Alle condizioni date dal Porcellum avranno pensato "meglio un paracadute sicuro oggi, che la gloria delle primarie domani". Meglio un lucchetto per blindarsi in tutta sicurezza che rischiare di essere spediti a casa da un verdetto popolare. Eccole le liste del Pd per Camera e Senato. Buone intenzioni, risultato discutibile. Limitiamoci alle sorti dei candidati privilegiati bolognesi. E lasciamo fuori i nomi della società civile che sono altra cosa. Ma due parlamentari uscenti e una dirigente nazionale del partito balzano agli occhi. Sangalli e Puglisi al Senato in Emilia, Benamati pacco dono in Piemonte. Tutti sicuri di farcela senza l'angoscia di doversi confrontare con gli elettori del Pd. Insomma, che diranno ora quei fanatici dei parlamentari uscenti che si son messi in discussione accettando di fare le primarie. Loro se la sono sudata, ma come nel caso di Sergio Lo Giudice, son finiti dietro a chi ha preferito atterrare sul morbido. Capolavoro.
Gli smemorati
Paladini anti-Casta ma solo a parole, sempre in prima linea a denunciare gli sprechi. Degli altri. Moralizzatori in casa altrui. L'ex grillino oggi rivoluzionario Giovanni Favia e il grillino Andrea Defranceschi si sono dimenticati di rinunciare, come promesso, al vitalizio di consiglieri regionali. A tempo quasi scaduto i due sono caduti dalle nuvole. Promettono che rimedieranno, a parole s'intende. Non sono gli unici. In Regione solo 14 consiglieri su 50 hanno detto no al vitalizio sin qui maturato. Si tratta dei Democatici Matteo Richetti, Palma Costi Antonio Mumolo, Damiano Zoffoli, Giuseppe Paruolo, Anna Pariani, Thomas Casadei, Giuseppe Pagani, Rita Moriconi e Stefano Bonaccini. A loro si aggiungono i leghisti Manes Bernardini e Stefano Cavalli.
L'attesa di Manes
La rivoluzione padana di Roberto Maroni iniziata agitando scope in nome della pulizia nei partiti è finita a dar la polvere dalle parti di Arcore. L'unico atto di ribellione, chiamiamola così, per il patto indigesto tra Pdl e Lega arriva dopo la presentazione delle liste. Non potendo usare argomentazioni politiche convincenti, il consigliere regionale del Carroccio Manes Bernardini strapazza come un ultrà qualunque il candidato Pdl Franco Carraro messo in lista in Emilia. Non perché è un paracadutato a vita, da tempi di Craxi, Andreotti e Berlusconi, non perché è stato sindaco di "Roma ladrona". No, semplicemente perché negli anni di Calciopoli, in cui il "poltronissimo" era en passant presidente della Figc, il Bologna venne retrocesso. "Carraro, ti aspettiamo domenica in curva al Dall'Ara", la minaccia di Bernardini a caccia di qualche facile voto rossoblù. Meglio il bar sport delle tribune politiche. Ma gli elettori del centrodestra aspetteranno Manes?
Con tutto il rispetto...
A proposito delle polemiche sulla partecipazione di Matteo Renzi alla Festa provinciale dell'Unità di settembre. "Non vedo come si sarebbe potuto coinvolgerlo in uno dei nostri dibattiti", diceva Marco Macciantelli, responsabile del programma della Festa, presentando la kermesse. "Con tutto il rispetto per il sindaco di Firenze - ribadiva Macciantelli in conferenza stampa - non vedo dibattiti nel nostro programma in cui si sarebbe potuto coinvolgerlo".
Il segretario provinciale del Pd Raffaele Donini oggi su Facebook: domani alle 18 all'Arena del Sole concluderemo la campagna elettorale insieme a Virginio Merola, Vasco Errani, Matteo Renzi. Sono felice di accogliere a Bologna di nuovo Matteo, dopo la bella esperienza delle primarie. Vi ricordate quando parlavo a proposito delle primarie di "competizione fra entusiasmi diversi ?" Ora ne abbiamo la prova di ciò che sentivamo era in sentimento autentico e unitario. Come dissi allora, anche oggi sono felice di dire "benvenuto a Bologna caro Matteo".
Merola, il rottamatore
Da bersaniano doc a renziano convinto. È la metamorfosi del sindaco Virginio Merola, novello rottamatore. Svolta repentina a poche ore dalla vittoria-non vittoria del Pd alle elezioni politiche. Un cambio di rotta sul quale è facile ironizzare, dal momento che Merola definì pure golpista il suo collega di Firenze all'epoca delle primarie. Una maggiore chiarezza nel motivare questa scelta non guasterebbe, anzi, sarebbe opportuna. Tuttavia non può sfuggire che dietro l'attivismo di Merola ci sia un disegno politico, da una parte il rinnovamento del gruppo dirigente del Pd che ritiene non più rinviabile, dall'altra un canale di dialogo preferenziale con i grillini. I tempi sono altrettanto significativi. Merola si è mosso subito, di fronte a un partito tramortito, anche a livello locale. Ha detto poche cose, non equivocabili. Ha dato l'impressione di voler essere della partita a pieno titolo. Anche se siamo appena al calcio d'inizio.
Bologna a Cinque stelle
Mettendo in conto una buona dose di insulti, mi sento di interrompere, anche solo per un istante, l'allegra festa grillina per il boom elettorale (più che giustificata). Ma occupandomi in prevalenza delle questioni bolognesi, vorrei far notare agli attivisti a Cinque stelle un piccolo particolare, che viene passato in silenzio o quasi nei tanti post esultanti sui social network. Nella Bologna dove il M5S sulla carta era più forte, potendo contare su un grillino ortodosso alla guida del gruppo in Comune e sul radicamento nei quartieri, le percentuali alla fine ottenute sono di gran lunga più basse della media nazionale. Al Senato 17,85 contro il 23,8 e alla Camera 19,14 contro il 25,5. Nulla che possa oscurare i cori contro la "stampa nemica" e i "traditori", per carità. Ma varrebbe forse la pena interrogarsi pubblicamente senza mettere al rogo chi ha opinioni diverse (è toccato alla stoica Federica Salsi) . Spiegare il perché di questa discrepanza sarebbe atto politico ancor prima di umiltà. Il povero Raffaele Donini, per non fare nomi, viene messo in croce per molto meno. Un "partito" che ha ambizioni di crescere (non di governare a quanto è dato capire) ogni tanto qualche parola di verità - al posto degli slogan, potrebbe pur dirla.
Un po' meno casti, un po' più Casta
Quell'immagine dei grillini casti e illibati che promettono purezza e sobrietà anti-Casta francamente non si riscontra in Regione dove l'ex grillino, ex ingroiano, Giovanni Favia (espulso via blog da Beppe Grillo) e il capogruppo del M5S Andrea Defranceschi restano legati non solo da un'amicizia di vecchia data, ma da un matrimonio di interesse. Coppia di fatto in nome del quattrino. Come scrive la collega Eleonora Capelli, cosa tiene insieme i due? Semplice, se le loro strade si dividessero il budget del gruppo Cinque Stelle passerebbe da 140 mila a 70mila, mentre Favia scegliendo il gruppo misto avrebbe una dote di appena 40mila euro. In più c'è in ballo la commissione statuto di viale Aldo Moro in quota M5S, al momento presieduta da Favia, che vale 100mila euro di budget. Soldini quindi, poi va bene tutto, la battaglia moralizzatrice di Grillo in nome del taglio dei costi della politica, i "sacrifici" che ogni grillino eletto annuncia di essere pronto a fare riducendosi lo stipendio. E pure le interviste a pagamento in tv compiacenti.
La lezione di Broglia
Il Fellini a Cinque Stelle
Allora ce l'ha fatta, abbandonerà il suo camion nei paraggi di Casalecchio e prenderà il volo per Roma, destinazione Palazzo Madama. Nick il nero è un (ormai ex) camionista grillino con la passione dei video, su You tube va molto forte, dicono. Ha rotto un'amicizia di lunga data con Giovanni Favia (cosa che fa curriculum). Bontà sua Nick, vero nome Nicola Virzì (come il regista) vola alto, si paragona a Fellini, spiega alla collega Caterina Giusberti su Repubblica che non poteva resistere alla chiamata di Grillo e Casaleggio (in quanto a comunicazione, dice, "sono i migliori"). Nick farà parte della squadra dei comunicatori a Cinque stelle del Senato, lascia il suo lavoro per essere arruolato tra il personale politico del Movimento, si farà Staff. Stipendiato con "4mila euro lordi al mese". Per carità, una cifretta, tanto la Casta alberga sempre nell'orticello del partito avversario, tanto i conti sui costi della politica si fanno in casa di altri. Nick filmerà il mondo della politica, anziché cambiarlo, un vezzo che non è solo il suo. Senza rimpianti rinuncia a una professione faticosa per un posto sicuro all'ombra del parlamento, alcuni eletti del M5S non l'hanno presa bene. Evidentemente Nick scommette che un governo si farà, altrimenti dovrebbe tornare a casa in retromarcia.